Convegno Europeo
Prison Fellowship International
Romania

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Testimonianze

Ero in carcere…

carcere
“La collaborazione al bene comune si traduce per ciascuno, entro i limiti della sua competenza, nell'impegno di contribuire alla predisposizione di cammini di redenzione e di crescita, personale e comunitaria, improntati alla responsabilità. Tutto questo non deve essere considerato un'utopia”.
Messaggio di Giovanni Paolo II, Giubileo nelle Carceri
9 luglio 2000

L’esperienza italiana della Giustizia Riparativa


In Italia i principi della Giustizia Riparativa sono stati applicati nel sistema procedurale penale che disciplina i procedimenti relativi ai reati commessi da soggetti minorenni (processo penale minorile) e ai reati di competenza del giudice di pace.
L’attenzione alla vittima del reato e quindi lo studio del soggetto che subisce le conseguenze negative in relazione al reato (vittimologia) è una conquista relativamente recente della dottrina e della criminologia italiana, che da sempre si è esclusivamente interessata all’autore del reato.
Tale interesse nasce da una maggiore presa di coscienza del fatto che il reato non consiste semplicemente in una relazione tra un fatto ed il suo autore, e non instaura nemmeno una mera relazione tra il suo autore (criminale) e chi ne subisce le conseguenze negative (vittima), ma determina anche una tale risonanza nell’intera comunità sociale da rendere indispensabile un intervento in grado di ripristinare l’ordine sociale violato, di trattare le conseguenze psico-sociali per la vittima, di recuperare il reo attraverso la sua responsabilizzazione e risocializzazione.
Tale riflessione non poteva non condurre all’introduzione di alcuni correttivi in un sistema, quale l’attuale diritto penale italiano, che tende a separare, quanto più possibile, le vicende del reo a quelle della vittima.
Quest’ultima anzi viene spesso sottoposta all’ulteriore gravoso compito di fornire elementi probatori all’accusa, “sfruttandone” la collaborazione nell’ottica esclusiva dell’accertamento della verità, ma disinteressandosi nel contempo delle sue esigenze.
Tale sistema implica spesso la cosiddetta “vittimizzazione processuale”, ossia la sottoposizione della vittima ad ulteriori “vessazioni”, quali stressanti sedute di esame presso i vari organi competenti, ispezioni corporali nel campo degli abusi sessuali, confronti drammatici con il reo o altri testimoni, il tutto in un ambiente “ostile” o comunque in grado di trasmettere ansia, quale quello delle aule di Tribunale.
La riforma del codice di procedura penale del 1989, pur introducendo alcuni istituti in grado di aumentare la partecipazione attiva della parte offesa sin dalla fase delle indagini preliminari (ad esempio la possibilità di conoscere la richiesta di archiviazione del reato e di opporvisi prevista dagli art.li 408, 409 e 410 c.p.p.), non ha tuttavia risolto minimamente i problemi di fondo che fanno della vittima un soggetto accessorio, al più utile per l’accertamento della verità, ma non portatore di interessi da tutelare.
Ciò prescindendo dalla possibilità prevista dal codice di procedura penale di chiedere, all’interno del processo penale, il risarcimento del danno derivante dal reato con l’atto di costituzione di parte civile.
Precisato che gli interessi della vittima non possono dirsi coincidenti semplicemente nel ristoro economico del danno patito, peraltro spesso reso impossibile a causa delle precarie condizioni economiche del reo, il sistema processuale minorile impedisce anche tale possibilità alla vittima, non essendo previsto l’istituto della costituzione di parte civile.