Convegno Europeo
Prison Fellowship International
Romania

Foto dell'evento

Testimonianze

Ero in carcere…

carcere
“La collaborazione al bene comune si traduce per ciascuno, entro i limiti della sua competenza, nell'impegno di contribuire alla predisposizione di cammini di redenzione e di crescita, personale e comunitaria, improntati alla responsabilità. Tutto questo non deve essere considerato un'utopia”.
Messaggio di Giovanni Paolo II, Giubileo nelle Carceri
9 luglio 2000

Lettera del Direttore del Carcere di Opera


   L’esperienza del Sicomoro è stata vissuta anche da me in prima persona; indirettamente, certo, attraverso l’ascolto e lo sguardo degli operatori trattamentali, che hanno partecipato ad ogni incontro e sono stati come spettatori immobili davanti alla costruzione di un puzzle che definiva un’immagine riconoscibile e descrivibile solo oggi nella sua interezza.

   Insieme a loro, alla fine di ogni incontro, mi ritagliavo uno spazio di tempo per far emergere le emozioni assimilate e farmi descrivere sguardi, parole, lacrime. Esperienze come questa non passano inosservate, sia per l’impatto emotivo sia per il significato che assume all’interno di un carcere la presenza di vittime di reati. Il nostro mandato Istituzionale prevede la gestione di quella stessa libertà individuale di cui sono private le persone qui recluse; il trattamento penitenziario deve rispondere quindi ai bisogni particolari della personalità di ciascun soggetto e per i condannati vengono predisposti interventi di varia natura ma tutti finalizzati a “rilevare le carenze fisiopsichiche e le atre cause del disadattamento sociale” così come previsto dalla normativa (ex art. 13 O.P.).

   L’incontro tra vittime e detenuti, per come è stata proposta e realizzata dall’Associazione Prison Fellowship Italia, si è inserito ad un livello diverso e risponde ad una logica che potremmo definire umanizzante, capace di restituire l’uomo all’uomo, riconoscendo e dando voce a bisogni più intimi, spesso celati, ugualmente presenti nelle vittime come nei detenuti. É su questo piano di corrispondenza, che certo non è stato né immediato né spontaneo, che le vittime e i detenuti si sono incontrati e si sono riconosciuti, si sono guardati negli occhi come nel cuore, si sono scambiati esperienze e sentimenti. Proprio da questo reciproco riconoscimento, della persona e dell’azione subita e agita, per alcuni è stato possibile affrontare e/o avviare la dolorosa fase di riconciliazione.

   Valore  aggiunto: stiamo parlando di mafia. Infatti, in questa casa di Reclusione il progetto ha coinvolto detenuti condannati per reati connessi alla criminalità organizzata. Dopo le perplessità iniziali, fisiologiche ritengo, non posso che prendere atto di quanto tale esperienza abbia sostenuto i detenuti anche nei singoli percorsi individuali, nel prendere scelte significative per la propria vita e nel riconciliarsi con una parte di se troppo spesso taciuta, nel riacquistare speranza e desiderio di cambiamento. Un piccolo ulteriore tassello verso una cultura del cambiamento e della trasformazione, sia dentro che fuori…

   Dr. Giacinto Siciliano
   Direttore del carcere di Opera-Milano